DA ROMA ALLA TERZA ROMA
XXXVIII SEMINARIO INTERNAZIONALE DI STUDI STORICI
Campidoglio, 20-21 aprile 2018
Sapienza Università di Roma
LA VOCAZIONE DELLE CITTÀ NEL PENSIERO DI GIORGIO LA PIRA
Sommario: 1. Premessa. – 2. Le città in cui visse La Pira. – 3 Firenze. – 4. La città domicilio organico della persona. – 5. La città come luogo delle opportunità e dell'incontro. – 6. La città e il suo governo. – 7. La responsabilità di chi vi presiede. – 8. Il valore delle città. – 9. La città e le città del mondo. – 10. La pace. – 11. Roma, Costantinopoli, Mosca. – 12. L'oggi.
“Impero universale, città, commerci” è stato il tema proposto e dibattuto in questo 38° Seminario Internazionale di Studi Storici “Da Roma alla Terza Roma”, che sta per concludersi. E non è senza significato che l'ultima comunicazione sia stata riservata a Giorgio La Pira, una personalità la cui esperienza politica e la cui azione civile hanno lasciato nel secolo scorso una traccia profonda che si prolunga fino all'oggi, anche e soprattutto in rapporto di temi della città e, non meno, dell'impero universale.
Ma prima di affrontare il discorso specifico, sia consentito di menzionare le città da lui abitate, perché tutte significative.
Giorgio La Pira nasce nel 1904 a Pozzallo, in un centro della Sicilia meridionale, sulla costa del Mare Africano, non lontano da Ragusa; un centro la cui popolazione a quel tempo supera di qualche poco i 7.000 abitanti. Dieci anni dopo si trasferisce con la famiglia in una grande città, Messina, distrutta dal terribile terremoto che l'aveva colpita nel dicembre del 1908 (quando nel 1914 giunse in quella città, egli con la famiglia viveva in una baracca delle Ferrovie dello Stato, ospite di uno zio che da quell'Ente dipendeva). Negli anni tra il 1914 e il 1922 La Pira frequenta dapprima una scuola tecnica inferiore e poi un istituto tecnico superiore fino a sostenere come privatista l'esame di maturità classica a Palermo, per poi iscriversi alla Facoltà di Giurisprudenza di Messina.
Sono anni tragici e tumultuosi, ma non chiusi alla speranza. Nel 1914 comincia la prima guerra mondiale; nel febbraio del 1917 ha luogo la prima rivoluzione in Russia, l'abdicazione dello zar Nicola II, e nel maggio l'apparizione della Madonna di Fatima, a cui egli più volte si riferirà negli anni maturi della sua azione politica. Nell'agosto del medesimo anno cade inascoltato l'appello di papa Benedetto XV agli Stati belligeranti perché facciano cessare la guerra, nell'ottobre ha luogo la rivoluzione bolscevica; nel 1919 la conferenza di pace di Parigi e la firma dei trattati con i paesi sconfitti. Nell'ottobre del 1922 avviene la “Marcia su Roma”. Mussolini prende il potere. Parte dell'opinione pubblica è pervasa da sentimenti nazionalistici e irrazionalistici e si mostra, in ogni modo ostile alla partitocrazia ritenuta “imbelle e corrotta” e contraria al partito socialista e al partito cattolico. Nel dicembre del medesimo anno a Benedetto XV succede sul soglio pontificio Pio XI che, con la sua prima enciclica Ubi arcano propone alla Chiesa cattolica un programma d’azione per una nuova cristianità schierata contro il liberalismo e le forme istituzionali dell'Ancien régime[1].
Evidentemente tanti e così rilevanti accadimenti, che mettono fine a un'intera epoca, non possono che lasciare tracce profonde in un giovane dall'intelligenza pronta, dall'accentuata sensibilità intellettuale e sociale come quelle che La Pira doveva mostrare lungo l'intero arco della sua vita. Negli anni 1921-1923 la Pira si riavvicina alla pratica religiosa lungo un percorso che egli stesso considera ben consolidato nel 1924, tanto da diventare l'anno successivo terziario domenicano. Proseguendo negli studi, egli sceglie il Diritto romano quale disciplina in cui laurearsi e sceglie il Prof. E. Betti per sua guida, che allora insegnava a Messina quella materia, il quale però ben presto è “chiamato” all’Università di Firenze, dove l'allievo lo segue e dove nel 1926 si laurea con pieni voti e dignità di stampa. Nel 1930 consegue la Libera Docenza, come allora era usuale per chi volesse seguire la carriera universitaria. Nel 1937 è nominato professore ordinario di Istituzioni di Diritto romano presso quella Università.
Per una circostanza del tutto casuale – ma per una visione cristiana come era la sua, mai nulla è casuale – La Pira si trova dunque nella Capitale della Toscana. Da Pozzallo a Messina a Firenze. Tre città che, ieri come oggi, per ragioni del tutto diverse, avevano ed hanno una forte valenza attuale: Pozzallo, centro minuscolo di agricoltura e di pesca, Messina, città in buona parte profondamente ferita nella sua bella compagine di chiese, palazzi e monumenti medioevali, rinascimentali e secenteschi. Infine la Firenze capitale della cultura, dell'arte della bellezza. Si può comprendere allora l'impressione straordinaria che quest'ultima città dovette suscitargli.
Che cosa è dunque la città per Giorgio La Pira?
In primo luogo la città è il domicilio organico della persona, per il fatto che esiste un rapporto stretto tra la persona umana e la città; essa è un organismo vivo che si è costruita con la sua storia e ha consapevolezza di inserirsi nel flusso di ciò che la circonda. Nulla meglio di queste parole danno la misura del modo con cui La Pira guardava a Firenze:
«Che cosa è Firenze? Posso rispondere: una grande casa, funzionale e bella, costruita con l'apporto di tutte le generazioni su uno spazio definito […] Cosa vale? Sommate insieme tutti i tesori che le generazioni hanno in essa depositato e che essa custodisce, tesori che definiscono il volto e la vocazione della città e del popolo che vi ha sede. Tesori e valori da qui destinati ad irradiarsi nei secoli, sulla civiltà intiera e sul mondo intiero. Un complesso organico di valori e tesori accentrati intorno ai due poli essenziali della città - la Cattedrale di Santa Maria del Fiore e il Palazzo della Signoria – e svolgentisi armoniosamente attraverso monasteri e basiliche, botteghe artigiane ed officine, centri di cultura e centri di carità, laboratori sperimentali di scienza e di tecnica»[2].
Nella città, dunque, hanno luogo le manifestazioni essenziali della persona che deve trovare in essa il soddisfacimento delle sue maggiori esigenze.
Deve trovare un posto per ritrovarsi costantemente nell'intimità della comunità basilare: ed è la famiglia;
deve trovare un posto per lavorare, per recare quindi un beneficio a sé, necessario a sé ed al prossimo: ed è l'officina, l'ufficio, il servizio pubblico;
deve trovare un posto per curarsi, quando sia necessario, ed è l'ospedale;
deve trovare un posto per imparare e per misurare se stessi nei primi rapporti con gli altri: ed è la scuola;
deve trovare un posto per guardare oltre se stessa, per pregare: ed è la chiesa;
deve trovare una piazza per tessere quelle relazioni umane che sono essenziali per la vita;
vi deve trovare il mercato, ove avviene la vendita di quanto prodotto dal lavoro e l'acquisto di quanto è necessario;
deve trovare le botteghe artigianali che realizzano con maestria i mille oggetti utili alla quotidianità;
deve trovare le botteghe degli artisti.
In questo modo può svilupparsi armonicamente la persona e la città svolgere la sua funzione propria.
Ma la città è costituita da una comunità, che è necessario sia governata. Perché ciò avvenga, due elementi sono per La Pira irrinunciabili: essi sono rappresentati dal potere politico-civile e dal potere religioso: lo spazio municipale costituito dal palazzo e dalla torre comunale e lo spazio religioso costituito dalla cattedrale e dal campanile. Secondo la visione cristiana La Pira rifiuta con energia la separazione dello spirituale dal temporale. Due potestà, ambedue supreme, indipendenti, ma correlate poiché l'uomo è l'unico soggetto cui devono provvedere; per questo sono stabilite perché ordinatamente collaborino tra loro in vista del bene di ciascuno e di tutti[3]. E in questa prospettiva la città è il luogo in cui hanno sede e si esercitano i due poteri e si misura la loro efficacia[4].
Di qui la “cura” che deve prestare alla città chi vi presiede. E si sa che La Pira fu per lungo tempo sindaco di Firenze. In tale veste è intervenuto innanzitutto per fare fronte alle esigenze più urgenti della cittadinanza a cominciare dalle cose apparentemente secondarie, il dialogo con i giovani, la corrispondenza con i più anziani, intervenendo con iniziative a favore dei poveri e degli emarginati, dei senza tetto, promuovendo per loro luoghi di accoglienza, di scambio, oltre che di aiuto concreto.
Ma le sue iniziative di Sindaco si sono estese ben oltre, investendo i problemi sociali più brucianti e le questioni gravi del mondo del lavoro e non avendo timore di farsi presente con interventi tempestivi e coraggiosi. E ciò fece richiamandosi piuttosto alla giustizia che alla carità. Egli non dimenticava ciò che significa il “principio di giustizia” e lo faceva- lui professore di Diritto Romano – richiamandosi alle parole di Ulpiano secondo cui «la giustizia è la volontà costante e perpetua di riconoscere a ciascuno il suo proprio diritto – ius suum cuique tribuendi».
«Se pensiamo bene, l'avvenire più che degli stati è delle città. Lo Stato è la forma giuridica […] Gli Stati cambiano, ma le città rimangono […] Passano le forme giuridiche, ma resta la città, resta un valore permanente».
Così osservava in un discorso alla Facoltà fiorentina di Architettura nel 1960.
E già nel 1955 rivolgendosi ai Sindaci delle capitali del mondo da lui invitati a Firenze:
«Ecco cosa valgono tutte le città – piccole e grandi della terra […]. Collocate ogni città nella prospettiva intiera della storia e della civiltà, in una prospettiva che abbraccia – come anelli di una unica catena – la serie dei secoli delle generazioni. Potete voi levare da questo quadro una sola di queste città essenziali (il discorso era rivolto specificamente ai sindaci delle Capitali del mondo), senza operare in esso una rottura insanabile? […]. Ciascuna città e civiltà legata organicamente, per intimo nesso e per intimo scambio, a tutte le altre città e civiltà: formano tutte insieme un unico grandioso organismo. Ciascuna per tutte e tutte per ciascuna».
In questa prospettiva La Pira era convinto che la città potesse contribuire a risolvere problemi globali. Ma una città non basta! Ogni città ha un suo proprio essere misterioso, ha un suo volto, ha, per così dire, una sua missione, più ancora una sua vocazione. Ogni città ha propria anima e un proprio destino, non è un cumulo occasionale di pietre[5].
Questa è l'idea coltivata da La Pira che ha uno sviluppo nella forma del gemellaggio ossia di patti di pace tra città e trova la propria evidenza nel motto da lui stesso coniato che suona: «Unire le città per unire le nazioni». Idea proposta nei grandi convegni dei sindaci delle città capitali del mondo, nei Convegni per la pace e la civiltà cristiana, nei Colloqui Mediterranei.
Così il suo sguardo si è allargato ben oltre i confini della città, essendo posta quest'ultima come esempio di quella pacifica, meditata e fruttuosa convivenza da prendere a modello tra gli Stati[6].
Di qui nasce il duplice pericolo temuto da La Pira, contro il quale combatte durante tutta la sua vita – pacificamente, ma decisamente: – quello dello sradicamento delle persone dal proprio habitat, ossia dal contesto organico della città – a causa di guerre, di mancanza di lavoro, di persecuzione – e quello ancor più grave della distruzione delle città stesse (e non solo una guerra atomica come La Pira paventava nel 1955 – e di cui oggi purtroppo di nuovo si parla – , ma anche una guerra guerreggiata, come è toccato, e purtroppo tocca in questi stessi nostri giorni, a città del Vicino Oriente) che sono state distrutte. Donde il suo appassionato e insonne lavoro per promuovere la pace. «La pace non si può fermare», scrive nel 1972 e nel novembre del 1973, tenendo un discorso di fronte all'Arco di Costantino, a Roma, afferma che vi sono due principi essenziali allo sviluppo del piano di Dio nel mondo e quindi della storia umana: e sono da un lato lo stato, oggi, egli sottolinea, l'Organizzazione delle Nazioni Unite, al tempo di Costantino era l'Impero romano; d'altro lato la bipolarità della storia. E ancora una volta egli assume per illustrare il secondo principio due città: Roma e Mosca, investite da una valenza giuridica e simbolica senza pari. E qui è trasparente l'indicazione di un impero universale che contribuisca a reggere le sorti così fragili delle sorti mondiale. E a questo punto il discorso potrebbe e dovrebbe estendersi a lungo.
A partire dalla città, la riflessione storico-politica di La Pira si apre infatti verso orizzonti sempre più ampi fino a prospettare una teologia della storia.
Scriveva il professore a papa Giovanni nel dicembre del 1961 che l'asse intorno a cui gravita la storia presente e futura della Chiesa e delle nazioni consiste nel rapporto religioso e politico fra Roma e Mosca e ricorda che il crollo di Costantinopoli del 1453 ha trasferito a Mosca il problema insieme religioso e politico del mondo. Il papato se ne accorse e cercò di favorire in tutti i modi Ivan III, considerandolo come successore dell'imperatore di Bisanzio e cercando, attraverso le vie religiose e politiche, «quell'unità e pace della Chiesa delle nazioni – scrive La Pira – , che fu ed è l'ideale permanente dei Pontefici». E aggiunge: «Il problema è sempre lo stesso: gli interlocutori supremi di questo dramma storico sono, in certo senso, gli stessi. Le città, in certo senso, le stesse: Roma Costantinopoli (Mosca)»[7].
Sessanta anni o poco più sono trascorsi dal dopoguerra ad oggi, da quando il professore di Diritto Romano metteva in opera azioni concrete, coraggiose, molto spesso criticate per l'audacia evangelica da cui erano ispirate.
Oggi problemi ancora più gravi si sono affacciati all'Europa e al mondo. Non voglio aprire lo scenario quale attualmente si scopre dinanzi a noi, se non per dire che a mio credere lo spirito e i principi che hanno guidato l'uomo e il cristiano La Pira sono da applicare oggi ancora più urgentemente che allora, in special modo per l'Europa. Occorrono uomini e donne saggi, intelligenti amanti della cultura e del diritto, credibili in particolare per guidare la cosa pubblica, e non meno per lavorare a qualunque livello della società. Il tacito, ma chiaro monito di Giorgio La Pira è sempre attuale e consiste nell'avere mostrato con il suo pensiero e la sua azione come le cose di questo nostro mondo potrebbero andare meglio se gli uomini si facessero condurre dalla sapienza e non dalla follia, dalle virtù e non dai vizi e dalle passioni irrazionali.
[Un evento culturale, in
quanto ampiamente pubblicizzato in precedenza, rende impossibile qualsiasi
valutazione veramente anonima dei contributi ivi presentati. Per questa
ragione, gli scritti di questa parte della sezione “Memorie” sono stati
valutati “in chiaro” dal Comitato promotore del XXXVIII Seminario
internazionale di studi storici “Da Roma alla Terza Roma”
(organizzato dall’Unità di ricerca ‘Giorgio La
Pira’ del CNR
e dall’Istituto di Storia Russa dell’Accademia delle
Scienze di Russia, con la collaborazione della ‘Sapienza’
Università di Roma, sul tema: «IMPERO UNIVERSALE,
CITTÀ, COMMERCI: DA ROMA A MOSCA, A NERČINSK») e dalla
direzione di Diritto @ Storia]
[1] Mi sono basato per questa rapida scorsa sui maggiori fatti che avvengono tra il 1914 e il 1922 di quella preziosa sinossi degli avvenimenti pubblicata a capo del volume a cura di C. Alpigiano Lamioni e P. Andreoli, dal titolo Il fondamento e il progetto di ogni speranza, con Prefazione di G. Dossetti, Roma 1992, XXXIV ss., volume che raccoglie scritti di Giorgio La Pira.
[2] Le parole citate, come quelle che nel testo le seguono, fanno parte del discorso di apertura al Convegno dei Sindaci delle capitali del mondo, tenuto a Firenze da La Pira il 2 ottobre 1955 e pubblicato in Il focolare n. 40, 16 ottobre 1955, 1 s. e ora in G. La Pira, Il fondamento e il progetto di ogni speranza, cit., 46 s.
[3] Cf. P. Catalano, Unità, pace, giustizia, grazia. Roma Costantinopoli Mosca secondo Giorgio La Pira, in Eukosmia. Studi miscellanei per il 75° di Vincenzo Poggi, Soveria Minnelli 2003, 135, 158 (142).
[4] È questo il programma che egli affida a un appunto nel periodo del suo ultimo impegno amministrativo intorno al 1960 in frangenti per lui difficili per le critiche che la sua azione riceveva. Cf. M. Luppi, La città come luogo di vocazione sociale, politica ed economica. L’esempio di Giorgio La Pira, in La città. Frammenti di storia dall'antichità all'età contemporanea. Atti del Seminario di Studi-Università della Calabria, 16-17 novembre 2011, a cura di M. Intrieri e P. Siniscalco, Roma 2013, 235-249 (240).
[5] Cf. G. La Pira, in Badia n. 3, del 5.11, 1979.
[6] M. Luppi, La città come luogo di vocazione sociale, cit., 247.
[7] Ho desunto queste parole da una lettera di La Pira del 6 dicembre 1961 indirizzata personalmente all'amico e collega Pierangelo Catalano, conservata nell'Archivio della Fondazione Giorgio La Pira (busta 160, fascicolo 4, nn. 46) e pubblicata in Diritto romano vivente. “Caro Catalano...” 1967-1975. Cinque lettere e quattro telegrammi, a cura di R.A. Alabiso e L. Rosa, Fondazione Giorgio La Pira 2017, XVI s.